giovedì 22 dicembre 2011

PD e PDL, due facce della stessa moneta

L'artilolo in prima pagina del Fatto Quotidiano di oggi titola "Barricata bipartisan contro i tagli alla casta"

In breve quando si toccano le tasche dei politici, cercando di abolire i privilegi ingiustificati della loro casta, non c'è differenza di schieramento, niente abolizione dei vitalizi e/o doppi incarichi. Che tradotto significa, noi comandiamo, siamo dei privilegiati e così dovrà essere, se c'è la crisi e bisogna tirare la cinghia la cosa non ci riguarda, per quello ci sono i comuni cittadini.

Poi non mi si venga a dire che PD e PDL non sono due facce della stessa moneta

domenica 11 dicembre 2011

L'incapacità di Antonio Di Pietro

In Italia la politica ha fallito, infatti è in carica un "Governo tecnico" con il compito di fare le scelte inpopolari che i partiti non sono stati in grado di fare. Questo perchè tutti i partiti temono di perdere le elezioni politiche del 2013, allora chi meglio di un governo tecnico per fare scelte dolorose?

Una classe politica come la nostra, autoreferenziale, incompetente, clientelare, dedita solo al proprio tornaconto personale. Mi riferisco a tutto l'emiciclo parlamentare, dall'estrema destra all'estrema sinistra.

Molti diranno che non tutti i partiti sostengono questo governo, è vero...

Ma stiamo parlando della Lega Nord, partito che al grido di 'Roma ladrona' ha dentro di se il seme della corruzione in pieno stile Scajola leggi qui l'articolo.

Ma il peggiore di tutti è quest'uomo qui (video), eletto, si fa per dire, con l'Italia dei Valori e ora passato a Popolo e Territorio.

L'incapacità di Antonio Di Pietro nello scegliere i suoi deputati ha portato in parlamento mostri come Silipoti e Razzi

venerdì 2 dicembre 2011

La vergogna degli stage

Sappiamo bene tutti come in Italia la flessibilità sul lavoro si è tradotta in sfuttamento, ma qui si rasentano le condizioni lavorative degne di paesi del terzo mondo.

Potete vedere qui un annuncio dove si offre uno stage con una retribuzione quasi inesisitente (dicesi rimborso spese) e solo a chi si può permettere di mantenersi per parecchi mesi a Milano.

In poche parole vogliono che il candidato sia plurispecializzato e non intendono pagarlo, al paese mio questo si chiama SFRUTTAMENTO

In fondo trovate la mail del responsabile da contattare, se volete scrivetegli....

Una designer italiana migrata all'estero, perchè in Italia purtroppo esistono persone come il sig. Politi, scrive alla redazione.

Il Fatto Quotidiano riporta lo scambio di mail che trovate qui

giovedì 31 marzo 2011

Le figure femminili del Risorgimento

Relazione tenuta il 29 marzo 2011 dalla prof. Antonietta Zangardi
presso “Berardi cafè” di San Severo
nell’ambito delle serate culturali del “Centro Einaudi”
in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia


Nel Risorgimento le donne ebbero posizioni marginali? Furono relegate nel ruolo di compagne sbiadite ed insignificanti? Di mogli sedotte? Di zitelle devote? Di amanti? Oppure furono guerriere che si interessarono alle vicende politiche? Collaborarono con gli uomini nelle scelte che determinarono il futuro dell’Italia e dell’Europa? Coprirono ruoli decisionali e primari?
Cosa centrano le donne negli affari di guerra? Cosa nella politica e nella organizzazione degli Stati? Non dimentichiamo che siamo nel Milleottocento epoca in cui la donna era da considerare soprattutto come moglie degli eroi o madre virtuosa. Non dimentichiamo, ancora che fu proprio nel censimento del 1881 che furono inventate “le casalinghe”.
Tutte queste domande ci siamo poste per iniziare la ricerca delle donne che presero parte attiva al Risorgimento, perché nelle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, pochi si occupano delle donne che volevano essere italiane, presi come sono dagli eroi, dagli uomini che segnarono la nostra storia del Risorgimento.
Ecco che abbiamo cercato e trovato un po’ di donne che furono vere protagoniste della Storia del Risorgimento. Furono eroine e combattenti, ambasciatrici e rivoluzionarie. Si sono interessate di politica usando anche il sistema millenario del fascino femminile. Uscirono dai salotti e salirono sulle barricate, in una mobilitazione che è stata ingiustamente rimossa.

Cominciamo la breve carrellata con la donna simbolo del Risorgimento: Anita legata al grande Giuseppe Garibaldi in una storia d’amore, la più famosa di tutto il Risorgimento.
Un insigne studioso, Alberto Mario Banti, nota che Anita occupa circa dieci pagine delle centinaia delle Memorie, comprese quelle assai toccanti, ma un poco sbrigative della fuga da Roma, con lei incinta e malata, e della morte. Il vero protagonista di questa storia d’amore fu Garibaldi, perché la presenza di Anita nella sua vita fu devota e silenziosa.
Garibaldi era preso dalla seduzione della donna guerriera e nelle sue truppe non mancarono mai ragazze scappate di casa, travestite da uomo e pronte ad immolarsi in battaglia, come fece la ventenne Colomba Antonietti, che combattè a fianco del giovane marito ufficiale finché una cannonata le spezzò la schiena, mentre difendeva Roma dalle truppe francesi.
La presenza di queste donne erano eccezioni che la storiografia ufficiale ignorò.
Le donne di Giuseppe Mazzini furono abbastanza devote e silenziose, scapolo circondato da amiche, amanti ed alleate devotissime, come Giuditta Sidoli, che per seguirlo venne privata del diritto di vedere i figli e fu più volte arrestata.
Grande figura femminile fu la madre, Maria Mazzini Drago, che faceva sorridere i contemporanei a causa della sfrenata ammirazione riservata a qualunque prestazione dell’unico figlio maschio, dai voti di scuola, fino all’esilio. Interveniva nella sua vita sentimentale tenendogli la corrispondenza con un nugolo di amiche inglesi.
Virginia Oldoini, passata alla storia come la Contessa di Castiglione fu la più bella donna del secolo, che ha fatto l’Italia ed evitato al Papa di dover fuggire da Roma.
Donna straordinaria, molto in anticipo sui tempi, bellissima ed emancipata; innovò la corte incartapecorita di Torino e meravigliò quella brillante di Parigi: Cambiò la moda e i costumi sociali, e non solo, ciò che è più sconvolgente è che “fece politica”. Il suo contributo alla causa italiana, ingigantito dai divulgatori, fu ignorato dagli accademici in quanto sia le lettere che i documenti e le pagine di diario sulla sua relazione con l’imperatore Napoleone III furono distrutti dopo la sua morte.
Il cugino Camillo Benso, conte di Cavour l’aveva inviata a Parigi con l’obiettivo di entrare nelle grazie dell’imperatore. Solo lei con la sua bellezza e la sua spregiudicatezza poteva riuscirci. Il geniale Costantino Nigra, altro protagonista, accorto diplomatico del Risorgimento, ma poco ricordato, creò alla corte di Parigi un clima di attesa che la contessa saprà ben sfruttare. Virginia aveva solo diciotto anni ed aveva già incantato Torino. Il suo declino fu malinconico, resterà la storia di una donna dalla modernità incompresa e strumentalizzata dai suoi contemporanei.
Si poteva essere ammesse al Pantheon, in quanto mogli dell’eroe e così fu per Teresa Confalonieri, colta e raffinata, angosciata dopo aver convinto l’imperatore a commutare la condanna a morte del marito Federico Confalonieri, nel carcere a vita da scontare nella fortezza dello Spielberg.
Grande donna anche la madre del Confalonieri, Adelaide Cairoli, che aveva perso quattro dei suoi cinque figli maschi, senza mai smettere di incitarli all’amor di patria.
Amica di Teresa Confalonieri fu Antonietta De Pace, di Gallipoli. Fervente mazziniana, ardita e prudente, indomita e battagliera, prese parte attivamente ai moti del 1848, in terra d’Otranto. Istintiva e coraggiosa, donna moderna, senza tempo, lottò per il riscatto del suo popolo. Essendo nobile e ricca, istruita e bella, non aveva bisogno di cercare gloria, eppure non esitò a mettere in gioco tutto ciò che possedeva per combattere la tirannia e le ingiustizie.
Negli archivi troviamo lettere di eroi alle loro donne, non quelle di queste ai loro amati. Le lettere e le biografie delle donne subivano la censura prima della famiglia e poi quella della memoria.
Laura Guidi, docente dell’Università Federico II di Napoli, ha ricostruito uno scandalo avvenuto nel 1847, quando Enrichetta Di Lorenzo di 27 anni, sposata e madre di tre bambini, piantò tutto e fuggì con Carlo Pisacane, con due pistole pronte per il suicidio di entrambi nel caso li avessero arrestati. Condivisero un decennio di vita errabonda e di progetti rivoluzionari che lei valutava con maggiore lucidità di lui, tanto da opporsi con durezza alla spedizione di Sapri, dove Pisacane morì inutilmente insieme a decine di altri patrioti.
La scrittrice Marta Boneschi è autrice della biografia di Metilde Viscontini, una milanese borghese, cospiratrice nel 1821, amica del Foscolo e di Stendhal, aveva lasciato un marito violento, rivendicando la supremazia dei sentimenti come ragione d’ogni scelta politica e personale.
Anche la principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, che si fa confiscare il patrimonio per motivi politici, fugge a Parigi, per un po’ si mantiene lavorando, apre salotti, fonda giornali ed ospedali e, trovandosi a Napoli durante la rivolta milanese del 1848, organizza in pochi giorni un piccolo esercito di volontari per correre in sostegno alla sua città.

Tutte queste sono solo alcune delle tante donne del Risorgimento che si attivarono per l’Unità del popolo italiano. E tutte queste donne sono troppo eccentriche per essere dei modelli. È per questo che furono dimenticate?
Sulle barricate delle cinque giornate morirono moltissime donne del popolo. Maria Canella, storica dell’Università di Milano, ricorda che il decesso “per fucilate” di molte donne fu registrato nell’Archivio di Stato. L’artigiana Luisa Battistotti Sassi, disarmò un soldato austriaco, ne catturò altri cinque con la sua pistola ed espugnò un deposito di munizioni sul Naviglio.
La condizione femminile dell’Ottocento era concentrata sul lavoro, molte le attività commerciali gestite da donne, aumentarono le maestre, le infermiere, le impiegate, le modiste. Nessuna di esse finì nei libri di Storia. Si riconosceva il lavoro maschile, alle donne si chiedeva di lavorare per “costruire la nazione”, valorizzando la loro missione naturale di educatrici e madri. Ecco perché parliamo di figure femminile, perché il ruolo delle donne era relegato a quello di educatrici che dovevano curare la mobilitazione delle coscienze per avviare un processo di identità nazionale, il cambiamento dei costumi e dei sentimenti del popolo italiano.
Per il resto la storia delle donne è arcinota a tutti: al voto ci arrivammo nel 1946, quarant’anni dopo la Finlandia.

martedì 22 febbraio 2011

Il genocidio e gli affari

Genocidio, questa è la parola per descrivere quello che sta accadendo in questi giorni in Libia, tra l'altro come definire i bombardamenti sui manifestanti contro il regime del Colonnello Gheddafi. Le armi che stanno massacrando la popolazione libica provengono da Russia, Francia, Gran Bretagna e Italia.

Nel 2008 nel "Trattato di cooperazione e amicizia" tra Italia e Libia, all'articolo 20 si legge "Si impegnano altresì ad agevolare la realizzazione. di un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari."

Dopo i primi morti nelle piazze libiche, la posizione del Governo italiano è stata debole. Rasentando l'indecenza, la prima cosa che è venuta in mente a B. è stata di non volerlo disturbare. D'altra parte cosa ci si può aspettare da chi ha baciato le mani insanguinate del dittatore libico.

Ma a cosa porterà il precipitare della situazione, in un paese forse destinato alla guerra civile, dove il dittatore dichiara la ferma volontà a rimanere al potere fino alla morte.

Ovviamente migliaia di morti.

Morti che sono sulla coscienza di chi ha venduto le armi ad un feroce e sanguinario tiranno. Colpe che ricadono anche sull'Italia, che pur di fare affari ha armato un dittatore scellerato che non esita a bombardare le folle che lo contestano.

Il genocidio continua

venerdì 18 febbraio 2011

A qualcuno piace servo

Riporto le prime righe dell'editoriale di Maurizio Belpietro sulle pagine di Libero di stamattina, seguirà un'analisi del testo.

"Ci hanno messo trent’anni, ma alla fine anche i più fedeli sostenitori stanno cominciando a capire che Gianfranco Fini è solo un paio d’occhiali sul nulla. Il copyright non è mio ma di Stenio Solinas, uno che lo conosce bene avendo militato con lui nei giovani missini. Quando lo scrisse sul Giornale che allora dirigevo successe il finimondo: il boss di An all’epoca era ancora accucciato ai piedi di Berlusconi e dunque le reazioni del centrodestra a difesa del futuro presidente della Camera furono compatte. Un ministro mi inviò una vibrata lettera, mentre Fini si rivolse direttamente al Cavaliere, minacciando ritorsioni. Grazie a questo tipo di protezione, negli anni in cui ha guidato Alleanza nazionale è stato esente da critiche: quasi nessuno si è permesso di fargli le pulci, ricordandogli errori e voltafaccia, che ci sono stati e pure in gran numero."

Premetto che non è mia intenzione voler difendere Fini da questi giornalisti che si occupano solo delle vicende personali del loro padrone, invece di parlare di sviluppo e innovazione del paese.

Voglio farvi notare alcuni punti, tipo "accucciato ai piedi di Berlusconi". Cosa significa? Che il degno posto di qualsiasi politico di destra è di stare accucciato ai piedi di B? Che B è il padrone e tutti devono essere "accucciati" ai suoi piedi? Prima evidenza di come funzionano le cose da quelle parti, ma continuiamo.....

"Fini si rivolse direttamente al Cavaliere, minacciando ritorsioni. Grazie a questo tipo di protezione, negli anni in cui ha guidato Alleanza nazionale è stato esente da critiche". Allora la macchina del fango esiste, chi non è "accucciato" ne subisce il vile attacco, basta rivolgersi a lui e tutto tace......

In questi giorni il Presidente della Camera Fini sta vedendo sfaldare il suo gruppo di FLI al Senato. Ha poi dichiarato "Silvio allarga la maggioranza grazie al suo potere mediatico e finanziario". Come se non lo avesse mai saputo. E se B avesse un dossier su ciascun deputato di centrodestra, in cui ci sono peccati, vita, morte e miracoli? Con la legge elettorale attuale, dove i candidati sono nominati dai vertici del partito e non eletti, si potrebbero far eleggere solo persone ricattabili, di conseguenza degli yes-man.

È proprio vero che a qualcuno piace servo

venerdì 11 febbraio 2011

Le prime pagine dei giornali

Non si fa altro che parlare di Rubygate, festini, giusto, non giusto, attacchi alla magistratura, parole eversive.......

Basta, voglio sentir parlare di investimenti per il futuro non di possibili leggi ad personam. La stragrande maggioranza dei giornali non fa altro che parlare (pro o contro) di questo volgare scempio delle nostre istituzioni, mentre i telegiornali se non parlano di politica ci morificano con la cronaca nera. Si concentra l'attenzione mediatica sul concetto di paura, del diverso come dell'inevitabile declino.

Negli altri paesi europei, i governi sono al lavoro per essere competitivi all'uscita dalla crisi. Investono in sviluppo e ricerca mentre l'unica cosa che il nostro governo ha saputo tirare fuori dal cilindro è la modifica dell'art. 41 della Costituzione.

I media amplificano questo malessere bombardandoci sempre con le stesse notizie, basta un comunicato stampa, una frase rilasciata all'uscita di un palazzo da parte del politico di turno che ecco le prime pagine, roboanti nei titoli quanto vuote nei contenuti.

Ci stanno asfissiando, narcotizzando, pronti per essere docili, servizievoli, assuefatti a tutto.

mercoledì 9 febbraio 2011

La celerità delle riforme in Italia

La risposta alla crisi da parte del governo, sta nella volontà di voler cambiare l'art. 41 della Costituzione. Dopo che il debito pubblico ha superato il 120 per cento del prodotto interno lordo e il reddito degli italiani è diminuito di circa 1000 euro a testa.

Quando nel resto d'Europa gli interventi contro la crisi sono stati tempestivi, in Italia si sceglie la via del cambio della Carta Costituzionale, uno dei percorsi più lunghi che il nostro parlamento possa affrontare.

Complimenti per la celerità.....

mercoledì 5 gennaio 2011

I DUECENTOCINQUANTADUE ANNI DELLA FONDAZIONE DI POGGIO IMPERIALE

In allegato trasmetto l'articolo a firma di A. Zangardi apparso sul sito di Capitanata.it in data 03.01.2011 riguardante i 252 anni della fondazione di Poggio Imperiale


Poggio Imperiale, paese del grano e del vento, piccolo centro agricolo, uno dei più giovani paesi della Provincia di Foggia, fu fondato dal Principe Placido Imperiale di Genova, residente a Sant’Angelo dei Lombardi.
La data di fondazione è stata sempre fatta coincidere con quella del Patto che il Principe stipulò con un gruppo di Albanesi il 18 gennaio 1761, perché abitassero la nascente villa.
Sono trascorsi circa diciotto anni dalla presentazione del primo libro di Giovanni Saitto, Poggio Imperiale, Cento anni della sua storia, dalle origini all’unità d’Italia, uno scritto che coglieva il monito del nostro grande concittadino, Alfonso De Palma, il quale invitava i giovani ad approfondire le ricerche per completare le sue Noterelle paesane.
Era presente come coordinatore, nella presentazione del libro, il carissimo e compianto parroco don Giovanni Giuliani, (per tutti don Nannino), che parlò di documenti di prima mano.
I documenti presenti in quel libro erano frutto di ricerche negli archivi di Stato ed il commento che ne fu fatto fu veramente nuovo e singolare.
Furono ritrovati, quindi, nuovi documenti che misero in discussione quella data di fondazione, documenti a dimostrazione che la Storia è una scienza sempre aperta a nuovi sviluppi.
Lo storico Franco Cardini, docente di Storia Medievale all’Università di Firenze, parlando del suo libro “Le radici perdute dell’Europa, da Carlo V ai conflitti mondiali”, affermava, tra l’altro, che la Storia non potrà mai chiudere bottega, in quanto il lavoro dello storico è come quello del medico e del detective, se vi sono nuove scoperte bisogna prenderne atto, adeguarsi, rivedere le proprie posizioni; se si scopre un nuovo documento, si scompigliano le certezze acquisite e si mette in moto un meccanismo sempre nuovo e rinnovato di studi ed approfondimenti.
I documenti vanno studiati e fatti parlare e quando qualche studioso ha trovato un documento nuovo, bisogna, con umiltà rivedere le proprie conoscenze alla luce dell’ultima scoperta.
La ricerca storica, infatti non esaurisce mai il suo compito. Quando ci sembra di conoscere tutto di un avvenimento o di un personaggio, quando l’immagine di un’epoca ci appare completa, ecco che nuove informazioni, prima sconosciute, o documenti prima ignoti, ci costringono a modificare le nostre opinioni e a precisare o arricchire le nostre conoscenze.
Uno storico per ricostruire gli avvenimenti deve sempre possedere documenti ai quali riferirsi.
la ricerca storica deve partire da essi
- i documenti sono utili per conoscere e ricostruire gli eventi,
- con i documenti “si fa storia”
- essi “vanno fatti parlare”.
Con questo scritto faremo parlare i nuovi documenti ed evitare che si festeggino degli anniversari fittizi.
Nella toponomastica di Poggio Imperiale vi è la via “18 gennaio 1761” riferita alla data del Patto che il Principe don Placido Imperiale, fece con un gruppo di Albanesi perché popolassero quella che lui chiamava “villa”, nome riferito ad un agglomerato di case rurali.
Molti fecero risalire a questa data la fondazione del nostro paese, ma così non è. Ed ecco tutti i documenti che lo provano.
- Il primo documento datato 9 marzo 1751 (in chiesa leggiamo 1755), un “Verbale di subasta della città e feudo di Lesina aggiudicazione a favore dell’Ill.mo Principe di S.Angelo D.Placido Imperiale”
Il Principe don Placido Imperiale, dopo aver acquistato il vicino “stato” di San Paolo, detto di Civitate, di proprietà dei duchi di Guastalla, ritenne opportuno acquistare il feudo di Lesina, per dare uno sbocco al mare delle sue proprietà.
Si aggiudicò il feudo vincendo un’asta e l’11 marzo 1751 gli venne dato il possesso della città di Lesina e del suo lago. Ebbe il Regale Assenso il 3 aprile 1753 da Carlo III di Borbone.
La fonte di quanto esposto è nell’Archivio di Stato di Napoli.
Poggio Imperiale non era ancora sorta.
Passiamo al secondo documento, che data esattamente la fondazione di Poggio Imperiale ed è quello relativo alla prima visita pastorale del vescovo Mons. Foschi nell’anno 1761, nel quale troviamo la data della fondazione, (prima del maggio del 1759, perché in questa data il principe, secondo la relazione della visita pastorale, “ ad esempio de’ fondatori dell’antiche città, v’invitò chiunque volesse venirci ad abitare, promettendogli abitazione franca per tre anni…”).
In questo documento vi è anche un’ampia descrizione degli usi e dei costumi della comunità albanese che viveva nel Casale.
Mons. Foschi scrive la relazione della sua visita pastorale, dichiarando esplicitamente. “…Abbiamo stimato per futura memoria brevemente accennare l’origine e la costruzione del paese e della chiesa e la venuta qui delle famiglie italiane et Albanesi; accadendo sovente che le notizie in alcuni tempi trascurate, siano poi in altri tempi avidamente ricercate”
Ed in questo non si sbagliava! Oggi noi ricerchiamo avidamente le notizie di quel passato cercando di trasmetterle ai posteri.
In riferimento alla chiesa, voglio che parli il documento, che cito testualmente: “…perché sul principio non vi era chiesa, andavano a sentirsi la messa chi in Lesina, e chi in Apricena, la quale poi fu benanche edificata, e colla Licenza dell’Arcivescovil Curia di Benevento fu benedetta nel mese di marzo dell’anno 1760.”
Non so spiegarmi perché nel tabellone posto nella chiesa parrocchiale di San Placido Martire leggiamo 1764.
- Terzo e quarto documento che vogliamo far parlare, sempre a proposito dell’anno di fondazione di Poggio Imperiale, sono quelli relativi ai moti del 1799, ritrovati dal prof. Clemente di San Severo, nell’Archivio di stato di Lucera. A tale notaio s’era rivolto un gruppo di “villici” per proclamare fedeltà al re di Napoli.
Al prof. Clemente interessava la partecipazione ai moti di San Severo del 1799 di dodici persone della villa di Poggio Imperiale ben armate ed uno di essi fu ammazzato. Noi facciamo parlare il documento datato 7 luglio 1799, dopo l’elenco dei villici presenti dal notaio, leggiamo: “…di questa villa di Poggio Imperiale…li quali aderiscono avanti di noi, qualmente da moltissimi anni si trovano ad abitare in detta villa, la quale ha circa quarant’uno anni…che oggi compone circa seicento anime”.
Ecco che la data ritorna, quarantuno anni prima, siamo nel 1799, vien fuori circa il 1758 (o prima del maggio del 1759, riferita nel documento di mons.Foschi).
- Arriviamo al quinto documento, ritrovato dal dott. Michele Zangardi nell’Archivio di Stato di Napoli e che siamo riusciti ad averne copia prima di Natale del 2007, il cosiddetto documento di Antonio Scarella, maestro di Casa Imperiale a Napoli, accusato di furto e truffa ai danni del principe Imperiale.
Questo documento dell’Archivio di Stato di Napoli, riporta per intero il processo intentato a Scarella con le relative testimonianze.
Il Principe don Placido Imperiale dopo l’acquisto del feudo, come leggiamo nel documento di mons. Foschi, ne visitò le terre e scelse un’amena e boscosa collina, dalla parte di mezzogiorno, chiamata volgarmente Coppa di Montorio, distante circa due miglia da Lesina e quattro da Apricena e decise di costruirvi un casale.
La Pasqua del 1759 il principe volle trascorrerla nel suo nuovo feudo di San Paolo anche per recarsi in visita a Lesina e da lì nel casale, per rendersi conto dei lavori, che stavano per essere ultimati.
Antonio Scarella, maestro di casa Imperiale a Napoli, mancava, perché era scappato con il denaro ottenuto per le spese del viaggio. Il fuggitivo fu acciuffato per ordine del Principe, processato a Lesina lo stesso giorno e condannato per truffa e furto ai danni del Principe. La notte del 25 aprile, lo Scarella scappò anche dalla prigione in cui era stato rinchiuso, e non fu più ripreso, facendola franca.
Perché è importante questo documento? Perché i lavori del casale, cioè di Poggio Imperiale, terminarono dopo pochi giorni.
Tutto il carteggio della causa del Maestro Imperiale, Antonio Scarella è costituito da 87 pagine, viene disegnato persino il pugnale che servì allo Scarella per la sua fuga.
Tutti questi documenti sono noti da circa diciotto anni ed è giusto ricordarli per evitare che i nostri giovani si convincessero di date ormai superate. Non si farebbe male andare a rivedere e rileggere il libro: Poggio Imperiale, Cento anni della sua storia… di Giovanni Saitto.
Ho sempre seguito con particolare interesse tutte le ricerche effettuate dagli storici locali, in quanto il loro lavoro è unico e preziosissimo. A tal proposito voglio ricordare anche gli altri scrittori: il dott. Alfonso Chiaromonte per il Dizionario della lingua terranovese e per altri interessantissimi lavori, e il dott. Lorenzo Bove, per i detti e i proverbi in dialetto.
Tutti questi scritti hanno la importante finalità di non permettere all’incuria del tempo che cancelli storia, tradizioni, usi, costumi e lingua di una piccola comunità come Poggio Imperiale, giovane paese alle porte del Gargano.
Concludiamo ribadendo che la data di fondazione di Poggio Imperiale è prima del maggio del 1759.